INTENZIONE ED ESPERIENZA. ANCORA SULLE GRANDI GUIDE DELL’UMANITÀ.

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D. – Nel programma che lo Spirito fa prima d’incarnarsi c’è anche il suo desiderio di sperimentare un tipo diverso di comunione col prossimo?

A. – La comunione col prossimo non ha molti livelli. Essa si basa su un solo principio fondamentale, cioè quello di dare, dare, dare in tutti i sensi al prossimo. Sebbene questo dare assuma forme diverse, a seconda dell’uso che si fa della propria vita e dell’ambiente in cui ci si trova, tuttavia, per quando possa assumere aspetti sfumati, il nocciolo è sempre quello e si manifesta in qualsiasi razza e popolazione perché il principio è quello. La forma della sperimentazione di questa offerta, di questo dare è naturalmente diversa perché le circostanze sono diverse; quella del santone indù che va in cerca di elemosina, non per sé ma per farne a sua volta ad altri è indubbiamente una forma originale che si può non ritrovare per esempio, dalle vostre parti. Però, anche dalle vostre parti un’esperienza del genere può assumere un aspetto diverso in colui che lavora e guadagna, e guadagnando, dà.

In effetti si tratta della medesima cosa perché è l’intenzione di base quella che conta e che dà l’esperienza, non la modalità con cui l’esperienza si assume. Io non vedo negli spiriti che s’incarnano una precisa intenzione di sperimentare certe “virtù” – chiamiamole così – o certe capacità spirituali in una maniera anziché in un’altra. Salvo casi del tutto particolari, come quelli di entità di grande evoluzione che scelgono precisamente un’esperienza e la conducono a termine in maniera abbastanza fedele all’intenzione, perché la loro presenza diventi a sua volta un esempio. Esse fanno parte di un gioco di rapporti tra il cielo e la Terra, cioè tra l’ambiente umano e quello spirituale. È l’esempio di Francesco d’Assisi, di Gesù Cristo o di qualsiasi altra grande figura che abbia illuminato la Terra: Maometto, Krishna o altri, a livello religioso. Questo si verifica anche non a livello specificatamente religioso perché, appunto, la cosiddetta figura del santo non è altro in effetti se non la figura dell’uomo interiormente integro che vive esplicitando questo altruismo anche nelle forme esteriori. E questo si verifica anche a tanti altri livelli non religiosi di pura attività sociale.

D. – Ammessa la realtà di un certo contatto, possiamo chiamarlo amore, ma possiamo chiamarlo anche odio, che mentre sul piano disincarnato si esprime in un certo modo, su quello incarnato è mediato dalla materia…

A. – Io direi che sia l’amore che l’odio sono due forme di conoscenza quasi uguali.

D. – Quello mediato dalla materia può portare a una percezione ulteriore dell’essenza della materialità come ostacolo?

A. – Certo. Proprio come conoscenza della materialità.

D. -Allora, evidentemente, questa è un’esperienza che può essere programmata legittimamente?

A. – Sì. Però la forma “odio” o la forma “amore” bisogna poi collegarle al tipo di evoluzione dello Spirito. In effetti, uno Spirito evoluto non sentirà mai quest’odio perché egli per natura non è portato a scontrarsi col proprio simile.

D. – Hai detto che l’odio è un’esperienza intensa come quella dell’amore, ma penso che l’esperienza dell’odio debba essere di breve durata, perché una vita dedicata all’odio non può mai essere positiva, anche se intensa, e questo anche tenendo conto di quanto hai detto sulla legge di Dio che chiede di dare, mentre invece l’odio prende…

A. – Infatti, ho precisato che si tratta di un’esperienza d’inevoluto o negativa, dal punto di vista morale. Dal punto di vista strettamente tecnico però per lo Spirito l’esperienza è valida ugualmente perché permette la conoscenza. In fondo, chi odia è come chi ama. Nella sua mente egli tiene fisso l’oggetto del suo odio e, rivivendolo continuamente, lo scardina, lo ricostruisce, lo smonta, lo rimonta. L’oggetto dell’odio è tale e quale l’oggetto dell’amore. Come valutazione spirituale, è naturale, l’odio provoca sempre delle conseguenze anche sul piano pratico e, quindi, l’individuo finisce col commettere una serie di attività non positive, spiritualmente parlando, ma lo Spirito si arricchisce ugualmente di questa esperienza. Cioè, l’esperienza gli è valida perché è comunque un’esperienza.

D. – Qualunque tipo di sanzione possa derivare in funzione di atti compiuti dallo Spirito, la sua qualità di esperienza è allora sempre positiva indipendentemente dalle sanzioni che, evidentemente, sono tutta un’altra cosa?…

A. – Le sanzioni provengono da una valutazione morale che lo Spirito fa di ciò che ha compiuto ma, indipendentemente da ciò, quello che egli ha fatto gli resta. La sanzione che lo Spirito subisce non è un fatto esterno, ma diventa parte integrante della sua esperienza globale.

D. – Al limite si può dire che, in fondo, è una questione di coraggio l’affrontare certe esperienze…

A. – Lo Spirito può sapere in anticipo che quella esperienza non gli porterà gran bene, che cioè, in effetti, essa diventerà anche una cosa spiacevole. Talvolta può capirlo e talvolta può anche non capirlo. Anche da disincarnato può non valutare appieno le conseguenze di un’esperienza anche se, grosso modo, egli la traccia. Ma d’altra parte, questo “coraggio” si manifesta a tutti i livelli dell’evoluzione, dovunque lo Spirito è impegnato in proprio, con la propria responsabilità, se questa è un’esperienza del tutto individuale. Vi sono però anche esperienze di più vasto respiro e che impegnano anche gli altri. Lo Spirito può rispondere di sé e vive per sé, nella sua sfera d’azione sulla Terra, in genere abbastanza limitata, ma vi sono entità che possono assumersi responsabilità per interi gruppi di spiriti, per certe valutazioni spirituali, e lì la responsabilità o il coraggio saranno molto, ma molto più grandi.

D. – Molto tempo fa ci hai detto che in Terra sono passati spiriti di evoluzione più alta di quella del Cristo. Questi spiriti sulla Terra hanno avuto risonanza oppure sono passati quasi inosservati?

A. – In realtà sono passati inosservati. A parte i più noti che voi conoscete come fondatori di religioni, in realtà grandi spiriti ce ne sono stati, ma si è sempre verificato questo che per voi i grandi spiriti sono stati soltanto quelli che hanno avuto un contrassegno cattolico, per esempio. Mentre, invece, presso le religioni indù, per esempio, vi sono stati dei grandissimi spiriti, dei grandi Maestri, indubbiamente. Ma presso quelle religioni non ci si è mai preoccupati di consacrarli; perché la consacrazione è una cosa del tutto diversa per quelle concezioni. Naturalmente gli spiriti di grandissima evoluzione sono in numero grandissimo. Alcuni di questi grandi Maestri passati sulla Terra sono ora alla guida di altri sistemi.

D. – Il compito di Guida di un sistema stellare viene dato da qualcuno o sono gli stessi Grandi Maestri che lo assumono.

A. – No, viene dato da qualcuno. In realtà c’è una certa gerarchia che però non è assolutamente formale. Cioè, essa esiste e non esiste. In realtà esiste una gerarchia nel senso che uno Spirito il quale è di una evoluzione inferiore rispetto a un altro, ne rispetta la condizione e ne può accettare la guida; e chiamiamo superiore o inferiore uno Spirito che ha minore o maggiore conoscenza, perché da un punto di vista spirituale non esistono superiori o inferiori, perché tutti ci confrontiamo con Dio e da questo confronto risultiamo tutti uguali, perché il più grande o il più piccolo tra di noi è sempre il più piccolo in senso infinito rispetto a Dio. Da questo punto di vista matematico rispetto a Dio la distanza è infinità e dunque siamo veramente tutti uguali.

Quindi, tra di noi una certa configurazione ovviamente si pone, anche se non esiste una gerarchia in senso propriamente spirituale, perché non la riconosciamo o perché, almeno io, non riconosco uno Spirito a me inferiore come inferiore, ma lo considero semplicemente un fratello che può avere una conoscenza minore, ma del quale so anche che lui pure raggiungerà la conoscenza che io ho oggi, e lo considero semmai come un fratello più piccolo. Il rapporto d’amore è dunque uguale, è integro, anzi egli mi è ancora più caro perché, sapendo egli meno di me, incorre più facilmente in qualche errore di cui poi soffrirà, e dunque ho verso di lui una pietà maggiore che non verso altri che sono a me superiori. (Il periodo presenta dei grossi problemi di comprensione riguardo all’ultima parte e può ingenerare malcomprensioni; si può ritenere – vista la costruzione della frase – che Andrea si riferisca a spiriti incarnati, nei quali è più difficilmente comprensibile un errore fatto da uno Spirito di grande evoluzione nei confronti di un altro che sia inevoluto. Sul piano degli spiriti disincarnati la frase non avrebbe senso, non si capisce infatti come possa applicarsi un sentimento come la pietà in quel contesto. Si arriva alla conclusione che Il confronto è in ogni caso da ritenersi puramente simbolico, una costruzione dialettica senza riferimenti effettivamente pratici o reali, poiché spiriti incarnati di evoluzione superiore allo stesso Andrea sarebbero comunque di grande o grandissima evoluzione e sicuramente oltre il ciclo delle esperienze terrene. – Nota del curatore.).

Naturalmente, il fratello “minore” riconosce istintivamente la mia maggiore autorità nei suoi confronti, sicché il rapporto gerarchico, in genere, si svolge dal basso verso l’alto e non dall’alto verso il basso. Il minore riconosce il superiore. Ma poiché non esiste alcuna imposizione, perché ogni essere spirituale è assolutamente libero, io potrei imporre la mia autorità spirituale soltanto in certe speciali circostanze, cioè se l’attività di un certo Spirito dovesse essere tale da minare gravemente un ciclo evolutivo. In questo caso si dovrebbe intervenire, altrimenti no.

Il rapporto di gerarchia è tale soltanto per definizione, in pratica esso non si manifesta, perché non esistono delle leggi particolari che regolano il rapporto tra di noi. Non esistono assolutamente e, non esistendo il concetto di autorità nello Spirito, cade tutto il resto e rimane soltanto, veramente, un rapporto di amore.

Facciamo un esempio elementare. Un essere spirituale sta per incarnarsi e sta valutando e scegliendo in funzione della propria evoluzione. Egli potrebbe essere consigliato male intenzionalmente da un altro Spirito. In questo caso, poiché la sua vita risulterebbe alterata da un vizio iniziale per un intervento non suo, né di altro Spirito qualificato a farlo, un terzo Spirito può intervenire con quella che è la sua autorità spirituale. Naturalmente, lo Spirito in genere sente e sceglie ciò che deve fare, ma per far questo viene sempre consigliato e guidato, poiché egli non sa a che cosa andrà incontro, o non sa orientarsi, o è incerto nella scelta e allora viene aiutato a rivedere la propria evoluzione, a rivalutarla, a ridiscuterla, per usare un termine umano, e in questa operazione egli viene assistito.

Quando uno Spirito non ha un’evoluzione e una conoscenza sufficienti a capire dove sta l’errore, egli può ritenere di essere nel giusto. Errore rispetto alla sua evoluzione, s’intende; cioè di scelta dell’esperienza e della conoscenza da assumere.

D. – Esiste il rimorso per gli spiriti?

A. – Il rimorso esiste, naturalmente. Ma, intendiamoci, il rimorso è solo una valutazione di ciò che ha fatto lo Spirito e se ha compiuto degli errori tali per cui ha danneggiato anche altri spiriti, di ciò si addolora: questo può essere considerato un rimorso. Vorrebbe non averlo fatto, e anche questo è considerato un “rimorso”, chiamiamolo pure così!…