MORALISMO E LIBERTÀ. CERCARE LE ESPERIENZE

moralismo

(Argomento trattato nel 1967. – Nota senza riferimento.) – (Nota posta originariamente a piè di pagina. – Nota del curatore.)

(La comunicazione nel testo originale appare autonoma, non compare cioè una domanda specifica riguardo al tema trattato. – Nota del curatore.).

A. – Negli ultimi tempi abbiamo affrontato dei problemi di natura umana, contingenti; abbiamo dunque parlato di cose inerenti la vostra attività di uomini. E perché mai? Da parte vostra vi è sempre e soprattutto l’intenzione di non perdere il contatto diretto con la realtà in cui vivete, perché, indubbiamente, predicare è facile, specialmente in astratto, cioè a dire seguendo teorie e principi che sono veri sul piano universale, ma che non riguardano molto la vita dell’uomo.

Infatti, voi potete indugiare con un certo piacere su questioni filosofiche, teologiche, che riguardano la vita dell’aldilà, gli equilibri dell’Universo, le leggi, però tutte queste cose non vi servono molto. O vi servono, sì, per ampliare la vostra conoscenza, per porre un più esatto rapporto tra voi e l’universale, ma nella vita umana voi avete bisogno anche di suggerimenti, di discussioni e di opinioni per la vostra attività di tutti i giorni. Ecco dunque le ragioni per cui noi ci soffermiamo spesso sulla vicenda umana, perché, se da una parte voi dovete perseguire un risultato spirituale, dall’altra, voi, questo risultato lo potete perseguire solo attraverso la materia che possedete, e dunque la materia diventa di colpo un elemento fondamentale nell’economia della discussione e dei rapporti tra voi e noi.

Intanto abbiamo accertato l’esistenza d’un elemento fondamentale, cioè quello della libertà; eppure, sulla questione della libertà sotto tutti i punti di vista, convergono molte e contrastanti opinioni e, intanto, questa stessa libertà nell’uomo è una libertà in fondo vincolata a tanti elementi, a cominciare dall’intelligenza, dalla cultura, perché, indubbiamente, un uomo tanto più sa tanto più è libero, soprattutto interiormente. Ma è anche vero il contrario, contemporaneamente: un uomo tanto più sa e tanto più è prigioniero della sua sapienza, sicché, in definitiva, la libertà è in un giusto equilibrio, in una giusta risorsa. Per quanto riguarda il piano umano, la vita fisica, l’uomo può disporre di se stesso come gli piace, ovviamente, fino al limite in cui però questa libertà non viene a menomare la libertà degli altri. E questi sono principi di ordine universale che riguardano anche la vita dell’uomo. Ora, non c’è alcun dubbio che sulla Terra voi viviate in una continua, perenne costrizione di questa libertà. Un poco perché siete uomini e l’avete scelto, cioè a dire con l’essere uomini voi vi siete autocostretti in certe leggi che voi stessi avete fatte, altre poi ne avete create e sono le leggi tabù, le leggi convenzionali di una morale fittizia, sorta per dare un certo tono, piuttosto anchilosante, all’uomo. e infatti si tratta di principi, di morali convenzionali, che sopravvivono attraverso le generazioni e che costringono l’evoluzione stessa a segnare il passo di fronte a certe situazioni.

Il mondo ha sempre cercato di scrollarsi di dosso quella che è la tradizione di ordine morale (che è un moralismo più che essere una morale) e non c’è mai riuscito del tutto. Se pensate che ancora oggi, nel vostro mondo cosiddetto scientifico, sopravvivono principi moralistici che noi possiamo facilmente ritrovare nell’antica storia della Terra, la forza di certe suggestioni… Ora io pongo una domanda, supponendo che vogliate farmela voi: – ma, in definitiva – potreste dirmi – questo moralismo che subisce continui traumi durante l’evoluzione della civiltà, in fondo non è forse un bene, inquantoché costringe gli uomini a osservare certe regole, certe convenienze?

Rispondo che il moralismo in realtà non serve a nulla, non serve a impedire che, per esempio, ci sia gente ricca e gente povera; non serve a impedire che ci sia gente che muore di fame, che gli uomini possano sopraffare altri uomini, che scoppino le guerre, che si fomentino le rivoluzioni, che ci sia la miseria, la malattia o la morte. Cioè a dire, non mi pare che il moralismo serva da chiusura stagna, sia pure provvisoria, per arginare certi effetti che nascono proprio dalla sua stessa esistenza, cioè da una fittizia relazione di sintonia tra gli esseri umani, fittizia inquantoché si basa appunto su un moralismo che non è di ordine universale, e su pregiudizi che sono sempre manifestazioni d’ignoranza.

Ora, dunque, se questa falsa morale non impedisce che accadano certi fatti nel mondo ma, anzi, proprio da questa falsa morale nascono spesso equivoci di natura spirituale, di natura dunque sociale, mi pare che del moralismo non possa assolutamente farsi una difesa appropriata. Semmai, direi, l’accusa che si può fare alla falsa convenzione umana è proprio quella di fomentare dei rapporti falsi, perché non nati su una spontanea e reciproca adesione, ma sull’accettazione puramente convenzionale di una tradizione che spesso è dimostrazione d’ignoranza.

Ora, il punto da chiarire è questo: esiste una morale autentica ed esiste una morale falsa. Il moralismo non è identificabile con la morale; è anche vero, però, che spesso la morale si camuffa da moralismo. È possibile insomma che certi principi universali giungano all’uomo attraverso convenzioni per cui in superficie appaiono moralistiche quelle che sono invece morali. In linea di massima noi ci riferiamo a una morale universale quando parliamo di tendenza dell’uomo a essere sincero, a essere leale, a essere chiaro; lealtà e chiarezza e onestà che vanno inquadrati in un clima di spregiudicatezza, intendendola nel senso buono, cioè a dire di chiarezza nei rapporti umani. Io sentivo spesso dire, quando ero in Terra e anche ora, dalla mia parte, sento spesso dalle vostre voci o dai vostri pensieri, o da altri pensieri, che certe cose si devono fare e certe altre non si devono fare. Quando sento dire che certe cose non si devono fare, mi chiedo naturalmente il perché e, in linea di massima, anche l’uomo dovrebbe chiederselo. L’uomo non se lo chiede il perché ma, quando se lo chiede, si dà di solito questa risposta: “perché non sta bene”. Ora questo “non sta bene” mi riassume talvolta tutta una situazione di ordine psicologico.

Non sta bene, perché? Perché gli altri penserebbero male, perché gli altri interpreterebbero male, perché gli altri non vogliono. E questi “altri” possono essere i vostri amici, i vostri parenti, i vostri compagni di lavoro; la società, in definitiva, pensa che questo non stia bene. Ora, talvolta diventa ridicolo supporre che questa stessa domanda se la fanno anche gli altri. Cioè a dire, quelli che dovrebbero essere i vostri giudici si trovano nella stessa situazione per cui voi che siete i probabili giudicati o giudicabili, siete automaticamente giudici: siete giudici e giudicati nel contempo, e questo è chiaramente un giro vizioso, è cioè un rimbalzarsi di giudizi in un rapporto dunque che non solo è formale ma che, in definitiva, è falso perché non si basa su un presupposto scientifico-morale o sociale-economico, ma soltanto su una convenzione di giudizio, così come è tramandata attraverso le generazioni. Una determinata cosa non sta bene perché gli altri parlano male di te se tu la fai. È chiaro, a questo punto che l’uomo è totalmente prigioniero dei pregiudizi. Un uomo può e deve vivere in un’atmosfera simile? Cioè a dire, deve tener conto del pregiudizio umano? No, un uomo non può tener conto del pregiudizio umano. Non deve tenerne conto. Badate bene che se tutti gli uomini avessero badato al pregiudizio umano non avreste avuto Maometto, Cristo e San Francesco d’Assisi, e dico questi nomi perché sono i primi che mi vengono in mente. Perché, in realtà, tutti questi uomini sono tali perché sono stati antitradizionalisti, a loro modo sono stati dei rivoluzionari, degli anticonformisti. In realtà per San Francesco, Cristo, Maometto o Calvino, o Lutero, (e, naturalmente, altri nel campo delle arti, delle scienze) si è trattato sempre di uomini controcorrente, di uomini che hanno sfidato il tempo e hanno affermato in piena libertà certi principi di ordine morale, di ordine scientifico, di ordine estetico, a seconda delle loro specializzazioni. Questo significa che la libertà, congiuntamente all’intelletto, può dare la genialità, può dare un contributo. Ma colui che vive in pieno conformismo e si adatta a quello che pensa il mondo non è che l’anello di una catena più o meno utile al proseguimento della razza, ma non più di questo. Certo si tratta di giudizi laconici, di giudizi brutali, oserei dire, ma la realtà è quella che è e non la si può camuffare con la poesia.

Indubbiamente, vivere fuori del pregiudizio non significa però vivere in maniera immorale, questo è chiaro, e d’altra parte gli esempi che ho fatto lo dimostrano. Non è una questione di libertà per l’immoralità, è una questione di libertà per l’affermazione di un principio di autonomia morale, di un essere umano che ha uno Spirito autonomo e avendolo autonomo non ha da dare giudizio di sé, ragione di sé, spiegazione di sé a chicchessia, che non sia la sola legge di Dio. Cioè a dire, ognuno di voi risponde a se stesso e, implicitamente alla legge di Dio, e qui c’è identificazione, perché il giudizio che voi date di voi stessi lo date in base alla legge di Dio, sicché voi dovete dar conto di voi soltanto a Dio e basta. E a nessun altro, badate, non a me, non a Cristo, non al vostro Spirito Guida, a nessuno date conto di voi: soltanto a Dio. E questo è il massimo dono che Dio ha fatto a noi tutti, voi e noi: l’autonomia della nostra personalità, della nostra individualità. Questo è stato l’atto di maggiore misericordia, di maggiore potenza o, come dire, di maggior amore che Dio ha trasfuso in noi, perché l’unica cosa che poteva darci veramente grande era la libertà, l’emancipazione anche da Se stesso, tant’è vero che noi non ritorniamo in Lui, non ci annulliamo in Lui, ma restiamo sempre noi, autonomi, liberi, personali. È questo che Dio ci ha dato, il dono più prezioso, la nostra persona spirituale, e dunque di questa persona non possiamo che rendere conto a Lui soltanto, se operiamo bene oppure se operiamo male, e a nessun altro.

Se questa è la verità inconfutabile dell’Universo, perché dunque costringersi al rallentamento di certe esperienze? Perché vivete in un mondo di convenzioni, di falsi rispetti e di ipocrisie. Voi dite: – ma noi siamo in questo mondo, che possiamo farci? – Voi siete in questo mondo e non è vero che non potete farci niente perché il mondo lo fate voi, nessun altro fa il mondo. La questione è che non avete il coraggio di combattere, non avete il coraggio di affrontare la verità. Perché è molto comodo, naturalmente, vivere così, lasciarsi trascinare dall’opinione pubblica, lasciarsi trascinare dalle convenzioni umane, dal rispetto del formalismo, è molto comodo. È comodo perché non c’è lotta, c’è passività. Ma pensate dunque a quando sarete Spiriti e vi sarete liberati dal corpo, e pensate alle tante occasioni di libertà che si presentano sulla Terra e che voi rifiutate, perché ognuno di voi, io ne sono convinto, ha rifiutato certe esperienze, ha rifiutato certe scelte, di operare in un certo modo e non ha operato perché, pur sentendone il bisogno, l’urgenza, la necessità anche sul piano morale, ha preferito non farle certe cose per non dover rispondere all’opinione pubblica, oppure, cosa più grave e più falsa, a mio avviso, per avere l’alibi di non dover rispondere a sé stessi.

Perché, vedete, anche qui c’è una grande verità: quanti di voi dicono: – va bene, ma anche se non rispondo all’opinione pubblica, devo risponderne a me stesso -. Vedete, anche questo è un giro vizioso di ordine psicologico. Risponderne a voi stessi? Io penso che se talvolta voi rifletteste sulle parole finireste col convincervi che le cose non stanno così. Perché risponderne a voi stessi? Ma chi siete voi? Non siete sempre voi a prendere le decisioni, o ne risponde qualcun’altro?

Nel momento in cui operate una scelta in piena responsabilità voi compite un’esperienza. Quante cose buone non fate per il rispetto umano, quante cose utili voi rifiutate perché esistono la “vergogna”, il rispetto umano, e tante altre cose. A cominciare da quelli che potreste aiutare e non aiutate per vergogna. Sembra strano non aiutare per vergogna, per non vergognarvi di far cose che sembrano puerili. Naturalmente, ci sarebbe molto da dire, ma la cosa più importante è questa: voi rinunciate alla vostra libertà di Spiriti! Siete venuti in Terra per fare esperienze e, spesso, invece di farle le subite. Ma, guardate che le esperienze valide sono quelle che provocate voi, sono quelle che sperimentate voi, non quelle che subite; quelle che subite sono esperienze involontarie, cioè sono cose che vi capitano, e voi, bene o male, non potete farci niente e dunque non ci mettete niente di vostro. Voi non cercate le esperienze: questa è la verità. Voi, sulla Terra cercate di non fare certe cose, e questo è grave, perché rendete il vostro Spirito supino, passivo, e invece, sulla Terra voi dovreste provocarle le esperienze, andare incontro a tutto quello che la Terra può darvi, perché tutto si trasforma in esperienza spirituale. Si capisce, entro l’ambito di principi morali, perché certo nessuno vi chiederà di fare l’esperienza di ammazzare il prossimo, per esempio, è chiaro; parliamo di esperienze nell’ambito della liceità, dunque nell’ambito di quello che è il diritto personale, naturale e spirituale di sperimentare sopra se stesso. Esperienze utilmente trasformabili, dunque digeribili, in senso psicologico-fisico-spirituale, questo ciascuno di voi può farlo. Invece la maggior parte dell’umanità le esperienze le subisce, e una volta che le sono capitate cerca di scrollarsele, di attenuare il colpo, di ridurlo al minimo e non pensa minimamente di affrontare l’esperienza viso a viso, e di poterla acquisire in pieno.

Sono cose che l’uomo non fa. Un poco perché, indubbiamente, lo Spirito che viene in Terra non è uno Spirito veramente forte, ma è ancora incerto su certi principi di ordine spirituale; deve acquisirli attraverso la Terra, ma molto dipende, oltre che da questo, dal trovarsi in un mondo convenzionale che non lo blocca del tutto, ma in cui egli si mette nella scia della convenzione, della retorica, delle esperienze fatte nel mondo della storia. Così egli si lascia debolmente trascinare come un sughero dalla corrente, e vede gli altri sugheri che vanno; egli si mette dietro, e così vanno avanti tutti. Naturalmente capiterà che alla prima cascata gli oggetti trascinati si frantumeranno, saranno presi dai gorghi e non sapranno più uscirne. Ma colui che è trascinato dalla corrente non può definirsi un buon nuotatore, il buon nuotatore è colui che attraversa il fiume e arriva dall’altra parte, oppure nuota contro corrente. Così dovreste fare voi nella vita, non restare attaccati al salvagente degli altri e al salvagente della storia e della tradizione che è immobile, ma essere fonte attiva d’esperienza continua, perché la vostra vita senza le esperienze non vale niente. Senza l’esperienza la vostra vita e tale e quale a quella della pianta, dell’albero o dell’animale, tale e quale; perché, infatti, l’uomo che rifiuta l’esperienza, che vive nella corrente e si lascia trascinare, cosa fa di speciale oltre al fatto di vivere? Non fa nient’altro, egli non è che un elemento vitale di una popolazione umana, ma da questa popolazione non sa emergere.

Sia ben chiaro che io non dico affatto che ogni essere umano debba diventare un genio, che debba diventare qualcuno, no, perché sulla Terra c’è chi è più in basso e chi è più in alto ma, in realtà, non c’è un alto o un basso, c’è chi fa certe cose e c’è chi ne fa altre. Naturalmente, voi, sulla Terra, avete qualificato queste cose, arti più nobili e arti più materiali, ma queste sono suddivisioni che non ci interessano. Il fatto importante è che ciascuno di voi può essere forte, può svolgere un complesso di esperienze nell’ambito della propria attività, nell’ambito del proprio lavoro, della propria famiglia, della propria società. Io non mi sognerei di dire a uno di voi: guarda, tu potresti metterti a fare l’artista o a fare l’inventore, oppure lo scopritore: sarebbe assurdo, perché è chiaro che ciascuno nasce con una sua esperienza, con una sua intelligenza, con una sua predisposizione, e quindi lo sviluppo dev’essere fatto nell’ambito delle proprie predisposizioni e nei limiti della propria intelligenza.

È in quel limite che l’esperienza di un contadino può essere molto più importante di quella di un fisico nucleare, per esempio; in proporzione può essere molto più importante un contadino il quale attivizza la propria vita, la impegna qualitativamente e si rende consapevole della propria esperienza, e sfrutta il proprio lavoro per un arricchimento spirituale di conoscenza, di penetrazione della Terra, che non il fisico nucleare il quale passivamente ha studiato, è nato con quella intelligenza e si lascia trascinare dalle prove di laboratorio. Egli può anche fare qualche scoperta, può anche essere un buonissimo fisico, ma è inferiore al contadino il quale invece ha messo nella vita l’impegno preciso di una individualità spirituale che riconosce per tale e vuole arricchire col lavoro umano.

Quindi è sempre nell’ambito dell’attività di ognuno di voi che io parlo, altrimenti il mio discorso si ridurrebbe a un discorso assurdo, perché in realtà i superdotati sulla Terra sono pochi, in confronto al numero degli abitanti. Ma non è una questione di superdotati, non esistono dei superdotati se non nell’ambito di una suddivisione convenzionale umana. In realtà, dal punto di vista spirituale, esistono tanti uomini e ciascuno svolge un’esperienza, e per quella esperienza ciascuno ha bisogno di quel quantitativo di intelligenza e di predisposizione. È logico che non si può pretendere che un genio matematico abbia la stessa intelligenza del contadino, semplicemente perché al contadino l’intelligenza del supermatematico non servirebbe, sarebbe sprecata, anzi si arriverebbe a dire che se avesse quell’intelligenza non sarebbe più un buon contadino. Cioè, tutto deve essere proporzionato, ciascuno ha l’intelligenza che gli serve per quello che ha scelto di fare in Terra. Poi, naturalmente non è che se la predispone in maniera esatta, no, sarà, in più o in meno, ma egli sceglie in fondo l’ambiente che gli dà quelle caratteristiche fisiche, psichiche e intellettive, e svolgerà quelle esperienze. In qualunque ambito, dunque, ciascuno può portare al massimo il valore qualitativo dell’esperienza. E questa poi è la sintesi del mio discorso: portare al massimo il valore qualitativo delle esperienze, sfruttando ai limiti la propria intelligenza, inserendosi in maniera intelligente, vivace e autonoma nella vita umana, evitando di farsi trascinare dall’ignoranza, dal sentito dire, dal pensiero degli altri, perché, miei cari fratelli, quando voi sarete morti, ognuno di voi si ritroverà solo da questa parte, solo con la propria coscienza. Lasciate stare che incontrerete i vostri parenti, i vostri amici, che potreste incontrare me e altre anime, tutto questo non servirà a niente. Voi, in definitiva, sarete soli perché la compagnia degli altri non vi servirà a turare le falle di una vita, supponiamo, inutile, e non vi servirà a consolarvi per il fatto di averla sprecata, una vita. È questo il punto.

Voi vi renderete conto se avete sprecato o no una vita, e se l’avete sprecata nessuno vi potrà confortare, sarete costretti a tornare un’altra volta in Terra e rifarla, la vita. E dunque, dal momento che l’avete perché non sfruttarla bene questa vita? Questo è il punto che nessun uomo riesce a capire, che vuole capire. Perché si preferisce, anche attraverso una convenzione religiosa sbagliata, lasciarsi trascinare dall’opinione degli altri, perché esiste, naturalmente, l’ovvia pretesa che vi siano alcuni che predicano la verità assoluta e la ragione assoluta, e altri che, naturalmente, devono seguirli. Questa è una posizione eminentemente sbagliata, perché non esiste una verità in Terra, questo sia chiaro, e nessuno la possiede questa verità. Ma essa è proporzionata all’evoluzione di ciascuno, e dunque ve ne sono tante di verità per quanti uomini vi sono in Terra e non è che la verità sia diversa; esistono varie gradazioni e sfumature della stessa verità. C’è dunque chi raggiunge “due” e chi raggiunge “tre”, e chi “quattro”, chi “cinque” e chi “centomila”; ma si tratta sempre della stessa verità.

La verità è come un gran palo conficcato in terra che punta al cielo, è lunghissimo questo palo, c’è chi si arrampica fino a un metro, chi fino a due metri, chi fino a tre metri, chi fino a cento chilometri: è sempre la stessa verità, è sempre lo stesso palo che ciascuno di voi scala, ma c’è chi ne vede solo un poco perché non riesce, non sa salire più in alto. Perché per salire più in alto bisogna essere allenati. Come colui che sale sul palo, anche colui che sale verso la verità bisogna che si alleni: bisogna allenare lo Spirito, il cuore, il corpo, la mente.

In Terra, se non siete allenati, a un certo punto vi fermate, perché cominciate a smarrirvi, non capite più niente. Ogni elemento della verità deve essere digerito, e invece l’uomo accetta supinamente l’imposizione di certi principi di cui non si rende affatto conto; è chiaro che non rendendosene conto non sa neppure sfruttarli, non sa utilizzarli, questi principi, ed ecco che cade alla prima occasione e non riesce a rialzarsi. Qualificare le esperienze vuol dire soprattutto utilizzarle attivamente e non passivamente. Bene, un esempio qualsiasi, piuttosto comune, può essere dato da un uomo che perde un occhio, oppure un braccio, o un figlio, oppure che ha un altro accidente. Ora, tutti, di fronte a una esperienza del genere ritengono che si tratti di una disgrazia atroce, cominciando anche col dire che c’è una certa ingiustizia perché magari lui ha perduto il braccio, un occhio, o qualche altra cosa, e gli altri invece se la godono. In realtà, è a questo punto che l’uomo deve intervenire, utilizzando questa esperienza. Perché un uomo che perde un occhio, oppure un braccio, è come se vivesse due volte perché vive una volta con due braccia e una volta con un solo braccio, cioè deve rifarsi, deve riorganizzarsi una vita come se nascesse daccapo, e dunque deve pensare a questo come a un fatto positivo, perché nella vita tutto può essere affrontato, anche senza un braccio, utilizzando l’intelligenza, affinando le risorse, e via di seguito…

Con questo concetto l’uomo può crearsi una quantità di giustificazioni per spiegarsi le cose spiritualmente, capire, e affrontare il lavoro, non passivamente; ma come una collaborazione che si dà al mondo, alla società: io produco, io lavoro, non per guadagnare a fine giornata, ma perché il mio lavoro serve agli altri. Quello che produco si riflette sull’economia di tutti, sull’eventuale benessere, io non lavoro per me stesso ma lavoro per gli altri. Poi, è la realtà, se ci pensate; voi lavorate per gli altri, gli altri poi possono pagarvi e fare in modo che voi possiate mangiare, ma voi lavorate per gli altri perché producete per gli altri come fraternità. Se voi cominciate a impostare così il rapporto di lavoro, allora cominciate a trarne esperienze. Un lavoro che fino a questo momento non è valso a niente, spiritualmente, beninteso, comincia a diventare un elemento spirituale perché voi lo qualificate, gli date una spiegazione, una ragione, un fine. Un fine logico, umano, che comincia a diventare spirituale, è un essere spirituale che lavora per altri esseri spirituali, questa è la qualificazione spirituale della vita umana. Si deve trarre tutto come esperienza, anche da quei fatti che la Terra può giudicare negativi, anche dai fatti che possono riguardare il corpo, tutto deve essere considerato per approfondire la conoscenza della materia.

E perché la dovete approfondire? Perché quando avrete conosciuto bene come funziona la materia, quali sono le reazioni che produce, implicitamente comincerete a conoscere una parte dell’Universo. Certe leggi, anche fisiche, umane, voi così le conoscete e le potete controllare, le potete dominare.

Leggete sul volto altrui le esperienze, capite le esperienze degli altri, le approfondite. Bisogna cogliere dalla materia i suoi principi spirituali, e questo è un lavoro che si deve fare in Terra, non subire le esperienze così, passivamente, per il puro gusto dell’esperienza. E guardate che dalle peggiori si possono trarre elementi utili, perché, in fondo, tutto è utile, si tratta solo di saper collocare le esperienze in un ambito spirituale.

Ognuno di voi si deve autoeducare. Ma non basta dire agli altri: siate leali, siate sinceri. Queste sono parole. Bisogna evitare di formalizzarsi sulle parole, ma spiegare la ragione per cui si deve fare. Non basta dire: fallo, ma spiegare perché si deve fare.

D. – Qual é il modo più ortodosso, più vero, di rispondere a chi domanda: cos’è la verità?

A. – Non c’è una risposta. Vedi, spesso mi è stata rivolta questa domanda e, certo, ogni volta si cerca di dare una risposta, però la verità è che non esiste una risposta. Tuttavia si può anche dire che la verità, in fondo, non è che la conoscenza dell’Universo, la conoscenza autentica di come si regge l’Universo, compresi gli esseri intelligenti e compreso Dio. Questa in fondo, è la verità. La ricerca della verità è dunque la ricerca della conoscenza. Ma la verità, appunto, non è che questo gran palo su cui ciascuno si arrampica fin dove ha la forza di giungere: quindi nessuno possiede tutta la verità, essa sta soltanto in cima, ma in cima non ci arriva mai nessuno, in cima c’è Dio che è irraggiungibile, perché è infinito.