PER UN CONTATTO COL NOSTRO SPIRITO. AUTOANALISI SOMMARIA ESISTENZIALE

SPIRITOCONTATTO

(In questa raccolta 1978 non esiste nessuna nota o riferimento alle datazioni delle comunicazioni riportate. – Nota del curatore.)

D. – Prima di passare a quella principale, c’è una domanda molto più breve per un completamento del discorso sull’anima, sulla sua funzione di trasmissione, più o meno automatica, di un certo pensiero dello Spirito. La domanda è questa: quando lo Spirito è completamente privo del complesso animico, egli non ha più la possibilità di comunicare con l’uomo, oppure gli rimane un’ultima possibilità a livello ispirativo, telepatico?

A. – Sì, c’è questa possibilità di contatto da Spirito a Spirito, che è un contatto che si può avere sempre…

D. – … e che emerge alla coscienza, magari rivestito di simboli in modo da essere interpretato dalla mente dell’uomo.

A. – Quando emerge, perché ciò è più difficile. In genere, il contatto da Spirito a Spirito avviene sempre, solo che, per potersi avvertire in qualche modo a livello della coscienza, bisogna che esso sia significante, che sia motivato, che, insomma, il contatto con un altro essere spirituale rappresenti una linfa ispiratrice o modificatrice di qualcosa, tale da incidere sullo Spirito ricevente, operando una trasmissione a livello inconscio.

Voi ricevete o scambiate una quantità di informazioni con altri esseri spirituali, ma esse non sono significanti per la vita e allora non si trasmettono. Se invece esse sono significanti per la vita, come correzione, come interpretazione, può darsi che avvenga anche una sensibilizzazione a livello cosciente. Diciamo che la via usuale è appunto quella ispirativa, attraverso la quale per voi è altrettanto impossibile distinguere ciò che è nel proprio Spirito o ciò che è in un altro Spirito.

D. – Ciò può dare l’avvio alla seconda domanda, riferita alla nostra percezione, difficoltosissima, dello Spirito, cioè della nostra e altrui condizione spirituale, così come essa è, totalmente svincolata da ogni idea collegata con il mondo dei sensi.

Proprio perché inevitabilmente, il cervello impone le sue immagini e sbarra la via alla percezione del proprio Spirito, questa sensazione può durare tutt’al più una frazione di secondo.

Quindi, quale tipo di meditazione, che metodo possiamo seguire per avere una percezione più ampia del nostro Spirito?

A. – In realtà ciò è veramente difficilissimo, perché percepire lo Spirito è un’operazione veramente fuori dell’umano. È come se doveste perforare e attraversare, perforando, innumerevoli pareti, per così dire, tutte spesse, per discendere sino ai limiti del vostro inconscio; quindi risalire attraverso tutta una complessa strutturazione animica per poi raggiungere lo Spirito.

Quando non è lo Spirito che opera inversamente, avvicinandosi a voi, questa diventa un’operazione dispersiva, per cui voi finite col trovarvi in un posto diverso dal bersaglio, prestabilito, se pure arrivate a un qualche bersaglio, perché anche questo è difficile.

Diciamo che può essere relativamente più facile tentare l’operazione inversa, cioè portare lo Spirito ai confini, per così dire, della coscienza, perché tale operazione si affida ad alcune possibilità che ha lo Spirito di penetrare meglio nella coscienza umana, la quale è strettamente psichica, quindi materiale, quindi di difficile accesso a fattori extra-materiali. Ora, le vie per raggiungere lo Spirito sono ancora una volta sensoriali, in un certo senso. Cioè ci richiamiamo a quel discorso nel quale si metteva in evidenza come, nell’effettuare esperienze umane, sia possibile sublimarle, cioè renderle essenziali, vibrare con esse in maniera da trasmettere un significativo messaggio o un messaggio-segnale direttamente allo Spirito. Questo significa che lo Spirito in genere può captare un segnale, indipendentemente dal suo contenuto o dalla sua forma, proprio perché è un segnale informativo.

Lo Spirito cerca continuamente (il “continuamente” ha un valore relativo) di avvicinarsi alla miriade di segnali che arriva dalla Terra (dall’uomo). La maggior parte di questi segnali non lo colpiscono, non lo interessano perché sono segnali della materia. In mezzo a questi vi sono anche quelli mentali, i quali, a loro volta, sono anch’essi in gran parte materiali; altri, invece, sono segnali che contengono anche un’esperienza ed essi possono interessare lo Spirito, in un certo senso, all’interno della struttura mentale, essi hanno una lunghezza d’onda maggiore. E lo Spirito, allorquando avverte, per propria sensibilità, il tipo di segnale, proietta come una lunga mano, una sua particolare antenna per cogliere il segnale.

Si verifica dunque che, talvolta, un incontro a mezza strada risulti abbastanza soddisfacente. Quando il segnale è “agganciato” dallo Spirito, in genere si verifica in voi una serie di possibilità che vi fanno percepire che il segnale è stato attivato da qualche cosa che vi ha raggiunto “nelle viscere”, e ciò può dare una sorta di gioia interiore, una sorta di piacere extra-corporeo, una sorta di soddisfazione della cosa data, che è stata perfettamente assimilata, digerita. Oppure, viceversa, ciò può dare un’insoddisfazione come di una cosa conosciuta che viene intravista e non afferrata. Lo Spirito reagisce a livello dell’inconscio di fronte a questi segnali, quando li capta o non vi riesce. Generando, quando li capta attraverso le vie inconsce, una sorta di interiore “soddisfazione”, e quando non li capta, una sorta di “spasimo”, di attesa, di stanchezza, di scoramento. Queste possono essere alcune delle reazioni tipiche che si verificano. In un certo senso bisognerebbe addestrarsi a questo, e le vie sono molte ma non tutte praticabili. Diciamo che quelle di uso più comune, cioè quelle che più facilmente sono controllabili ed effettuabili, sono quelle che passano attraverso il sensorio e cioè attraverso l’esperienza quotidiana della vita, l’esperienza che coinvolge la partecipazione totale dell’individuo e che è un’esperienza che può essere sublimata. Qui il termine “sublimazione” ha un significato diverso da quello dato dalla psicanalisi: la sublimazione qui non va intesa come trasformazione di sensazioni e percezioni., cioè come la loro eliminazione mediante trasformazione, ma significa che nel corso di un’esperienza di vita (che può essere, tra l’altro, anche il semplice sapore di qualcosa ecc.) essa può essere “sublimata” cioè trasformata in un segnale. Questo richiede capacità introspettiva, la capacità cioè di adattare al proprio ritmo di pulsazione interiore l’esperienza fatta e di trasformarla in una cosa viva, rarefatta.

Questo non è facile, naturalmente. Voglio dire che, tutto sommato, non è cosa da tutti. Infatti qui gioca moltissimo il fattore evolutivo, e parliamo da un certo punto di evoluzione dell’uomo in poi. Diciamo allora che è possibile raggiungere con l’esperienza una “zona intermedia” in cui l’esperienza come fatto concreto sparisce, dopo essere stata effettuata, e ne resta il senso, il significato, come un tipo di vibrazione significante. Questo tipo di vibrazione, o questo “significato vibrante”, lo si può facilmente pilotare e portare nella zona interiore più profonda, con uno sforzo (che poi finisce col non essere più uno sforzo) di penetrazione nel proprio io.

A questo punto si può assistere a uno strano o straordinario fenomeno: questo messaggio, questo segnale, questo concentrato di esperienza diventato segnale, nella vostra interiorità acquista una direzione rettilinea. a un certo punto questo segnale, che procede come una sorta di raggio, comincia a disperdersi e allora, nella propria interiorità, si assiste a uno strano fenomeno, cioè a dire questo segnale è come se incontrasse una sorta di luminosità e si disperde, si fonde con questa luminosità che è dentro di noi.

A questo punto il messaggio viene perso, è non è più possibile seguirlo. È l’impatto con alcuni aspetti dello Spirito e da quel momento, chiaramente, il segnale può essere abbandonato perché ha raggiunto l’obiettivo.

Direi che, in altri termini, un’esperienza contiene un significato. Questo significato, in senso linguistico, ha una sua prospettiva, una sua strutturazione, ma è qualcosa di diverso e di più del fatto linguistico; è cioè, veramente un segnale “radio”, un tipo d’onda che deve essere però fermato dalla coscienza perché non si disperda.

In genere voi siete propensi a disperdere questi segnali, li disperdete sempre, anche quando siete legati a essi in maniera affettiva perché, per voi, un’esperienza o viene dimenticata o, se non la dimenticate, la conservate affettivamente perché non potete farne a meno, ma mai – dico mai – la utilizzate per farla procedere. Ora voi dovete imparare a fare questo e ciò significa proprio farla “camminare” in senso “spaziale”, non tenendola ferma, ma rendendola operativa, cioè utilizzando il segnale, praticamente, in maniera che percorra i vari stadi della vostra interiorità.

Sorge qui un primo problema, e cioè che voi dovreste essere in qualche modo abituati a riconoscere la vostra interiorità. Perché per far procedere il segnale bisogna conoscere la sua via, il suo tracciato verso l’interiorità, ma il fatto è che voi non sapete neppure dove dirigere l’esperienza, perché per il solo fatto di averla pensata o di averla presente, a voi sembra che ciò sia tutto. In realtà ciò non è tutto, anzi è quasi niente. Riconoscere la vostra interiorità significa anzitutto conoscersi, e io mi chiedo quanti di voi si conoscono veramente. Conoscervi bene, possibilmente eliminando gran parte delle vostre sovrastrutture per rendere più libera la strada.

Le vostre sovrastrutture sono come dei macigni caduti in mezzo alla strada, e allora, quando voi cominciate a percorrere la vostra strada interiore, incontrate questi macigni. Di fronte al macigno le possibilità sono varie; girare a destra o a sinistra, passare di sotto al macigno, oppure passarci sopra; a pochi viene in mente che basta spostare il macigno. Per spostarlo accorre però effettuare un’operazione non facile, una rimozione vera e propria, e cioè entriamo in un campo psicoterapeutico di rimozione del macigno come sovrastruttura, e più macigni togliete, più la strada diventa libera. Spesso basta eliminare i macigni fondamentali perché si dissolvano anche quelli secondari.

Strada” e “macigni” sono metafore per indicare certe linee conduttrici che tendono al riconoscimento della propria autenticità, perché solo a condizione di riconoscere questa autenticità è possibile far arrivare il messaggio allo Spirito. Perché, vedete, i messaggi allo Spirito ci arrivano indubbiamente anche malgrado le sovrastrutture, altrimenti nessun Spirito avrebbe esperienze, anche se molte esperienze si disperdono con parte della vita.

Il fatto più grave si presenta quando volete riconoscere autenticamente questo incontro col vostro Spirito, secondo la domanda fatta; allora, veramente, tutti questi ostacoli diventano seri e consistenti. La liberazione interiore, anche parziale, consente l’autoriconoscimento, e quando ci si riconosce, le strade interiori diventano facili a vedersi. Voi non vedete dentro di voi perché avete gran parte delle vostre porte chiuse. Vivete in un certo senso del presente, vi manca il futuro, ma vi manca anche il passato. Il passato è solo il ricordo delle sovrastrutture, il passato dell’autenticità non lo ricordate più. Intanto di autentico c’erano forse solo gli anni giovanili, gli anni di fanciullo, e anche quelli con tutte le deviazioni che ben conoscete.

Comunque, senza voler scoraggiare alcuna operazione del genere, dico che va fatta una prima analisi, un’autoanalisi, e del resto ve l’ho sempre detto: autoanalisi e programmazione, per vivere in maniera, diciamo, più decente, più consona in qualche modo al fine per cui siete venuti sulla Terra. La programmazione già mette in evidenza alcune strutture portanti dello Spirito perché, bene o male, accettando la vostra programmazione voi finite col riconoscervi – senza saperlo – nelle linee proiettate dallo Spirito.

Nessuno accetta compiutamente una cosa contraria all’intenzione dello Spirito. Ci possono essere errori, ma in gran parte la vita finisce col coincidere con le linee principali del programma dello Spirito; il “riconoscimento” consente poi alla programmazione di attuarsi compiutamente. È difficile programmare bene, se non si conosce bene sé stessi. Com’è possibile dunque poter scendere, diciamo da una montagna ghiacciata, senza assicurarsi che le proprie gambe funzionino? Sarebbe un suicidio fare diversamente. Dunque anche questo va fatto per giungere quindi a un’autocoscienza, per tracciare linee per il futuro. E farlo dal momento in cui si è nati fino al momento in cui si fa quest’analisi, significa già cominciare ad avere alcune linee portanti di quella strada cui alludevo.

Allora, poste le linee conduttrici, dal momento in cui si comincia questa esperienza, tutte quelle successive vanno riportate, collegate continuamente come con una cucitura continua a tutto il proprio passato, in maniera che l’esperienza vada a coinvolgere, a “irrorare”, direi, questo passato (che è poi il passato della vostra vita attuale) trasformandosi in idee, cioè in segnali, per incanalarli in quella via interiore dov’è più facile trovare lo Spirito.

Vedete, non esiste formula o toccasana tanto da poter dire: “io domani mattina comincio a fare questa ginnastica e domani sera incontro lo Spirito”. No, purtroppo questo è un discorso che non si può fare: l’incontro con lo Spirito o con la propria interiorità coinvolge l’intera persona, l’intero sistema di vita, più che altro l’intero sistema di comportamento nell’osservazione dell’esperienza; è la totalità dell’individuo che è impegnata, non c’è toccasana.

Ecco perché voi non potete migliorare granché il prossimo se non lo guarite, cioè se non lo ricostituite, se non gli fate riconoscere la sua autenticità. Che poi questa autenticità venga usata o meno nel contesto sociale, è un altro problema, ma l’importante è sapere quello che si è, quello che si vale, o, perlomeno, quello che si è fatto e quello che non si è fatto, con il riconoscimento della propria originalità spirituale che è coperta dalla vostra vita di tutti i giorni. In un certo senso voi siete degli esseri falsi, non degli esseri originali. Non siete più dei “prototipi”, siete degli esseri riprodotti in serie, in qualche modo. E questa riproduzione in serie vi è stata data da una società sbagliata, da una società in un certo senso antiumanistica. E questo, da sempre, non è un problema vostro, di questo ultimo secolo; è un problema sorto nel momento in cui è venuto l’uomo, quando si è determinata lentamente una deviazione dalla sua matrice primaria, per cui l’uomo è diventato un uomo macchina, proprio nel senso di asservimento continuo alle proprie strutture e sovrastrutture sociali e psichiche.

D. – Ciò malgrado affiorano in noi dei contrasti che ci costringono a pensare!

A. – Quando affiorano è già una gran cosa! Spesso non affiorano affatto e la gente cammina imperturbabile pensando che quella sia l’unica via giusta.

D. – Sorgono i dubbi, e sorge in noi un dualismo. Questi problemi

ce li poniamo. Poi, magari, li risolviamo in maniera errata, ma ce li poniamo. Siamo anche influenzati dall’esterno, in questa società meccanizzata, in questa società dei consumi che ci ha inglobati, e dalla quale è difficile districarsi.

D. – C’è un’espressione degli orientali che definisce molto bene questo trapasso da una condizione all’altra, questo diverso tipo di comportamento verso sé stessi. Essi chiamano la persona che è cambiata “il risvegliato”, “colui che si è risvegliato”. Infatti a guardarsi intorno in certi momenti sembra che tutti dormano, che la gente cammini per la strada come se dormisse, pensando solo all’esteriorità…

D. – Com’è nata al principio questa deviazione, questa mancanza di autenticità?

A. – Ma, vedi, essa è nata dal fatto che gli uomini, occupando diversi punti della Terra, in fondo si diversificavano. Un po’ per il clima, ma soprattutto per le abitudini, per il cibo ecc. D’altra parte, uomini dotati di istinto molto forte – quali erano gli uomini primordiali – capirono che dovevano darsi una sorta di regolamento che consentisse lo scambio, le unioni sessuali, l’allargamento delle tribù stesse. Diciamo che ciò fu un fatto naturale e spontaneo, però regolato semplicemente dagli istinti. La modifica si ebbe quando cominciarono a prevalere i più forti. Questo già si era verificato e si verifica nel mondo animale, ma nel mondo umano la maggior forza fisica finiva con l’utilizzare un veicolo ben più importante, cioè la mente. Perché la forza fisica non veniva svolta solo a livello istintivo, ma veniva a influenzare anche quello mentale.

In altri termini, il comando ebbe un’influenza di tipo psicologico, con tutte le sue regole.

Ora, ci possiamo porre il problema se tutto questo poteva essere evitato, e devo dire che non poteva essere evitato. Una comunità molto ampia di uomini, certo, bisogna che abbia anche delle regole. Soltanto c’è il fatto che le regole che si sono formate non riguardano l’aspetto fisico, psicologico o istintivo dell’uomo, ma riguardano la ripartizione delle ricchezza. Voglio dire che tutto è cominciato quando la ricchezza, come patrimonio, è diventata elemento di scambio e quindi di potere. È stato il denaro, in altri termini, che ha rovinato tutto. Perché le leggi che voi avete, infatti, a ben guardare, sono leggi economiche che mirano a tenere in asservimento gli abitanti della Terra, nella maniera più totale.

Naturalmente com’è possibile agire su di un uomo? Proprio coercendolo negli istinti, è questo il modo per renderlo schiavo, cioè obbligandolo a non fare determinate cose, allora si ha il cosiddetto plagio, cioè l’individuo viene totalmente asservito dal potere. Che questo potere possa essere giusto o non giusto, non è questo ora il problema; voglio dire che si è stabilito subito un potere da una parte e gli altri uomini dall’altra. Questo è stato uno sviluppo lento, durato secoli. Forse ciò non si poteva evitare, dirò; forse era necessario raggiungere una buona qualità culturale e intellettuale per poter ridecidere su tutto e ridistribuire le norme della vita sulla Terra. Certo, gli uomini primordiali non potevano immaginare nulla del genere: né i suoi danni, né i suoi vantaggi. Perché certamente, è quando si raggiunge un buon grado di cultura che bisogna tornare indietro e rivedere le cose, ma è proprio allora che il potere diventa più forte e vieta una revisione del tutto.

D. – Perché il potere è senza cultura?

A. – Un potere senza cultura non ha senso!

D. – Senza cultura in senso umanistico, intendevo.

A. – Va bene.

D. – Cioè in senso culturale autentico.

A. – Non cultura in senso scolastico.

D. – Anzi, ci si serve della pseudo cultura scolastica per mantenere l’asservimento, questo è il discorso a livello di classe.

D. – Tuttavia ci sono anche delle situazioni che non si possono cambiare dall’oggi al domani.

A. – Certo nessuna situazione si può cambiare dall’oggi al domani.

D. – Quindi è necessaria un’azione progressiva, sia pure lenta.

A. – Ma le azioni progressive non si sono mai verificate sulla Terra. Vedi, sulla Terra, in genere, i cambiamenti avvengono solamente in seguito alle guerre e alle rivoluzioni. Voglio dire che è difficile trovare gente ben pensante che si metta a programmare un miglioramento in senso autentico.

D. – Eppure c’è un certo anelito, adesso, in tal senso!

A. – L’anelito ci sarà sempre finché c’è il mondo.

D. – Oggi abbiamo dei mezzi di comunicazione che cento anni fa non si immaginavano neanche, e ciò ha portato a un accrescimento di cognizioni, di idee, di idee sociali, che in un certo senso hanno determinato una lievitazione di questa direttrice. Ci sono grandi conflitti, noi li vediamo, quindi questo anelito si sta trasformando in qualcosa di concreto…

A. – Sì, certo, c’è una maggiore coscienza, come conoscenza, soprattutto; cioè c’è una diffusione di conoscenza, ma bisogna che essa sia ben incanalata. In genere io, così come vedo il mondo, ritengo che gli uomini, così, da soli, non riusciranno mai a nulla; il popolo finisce sempre con l’essere guidato e purtroppo il suo destino è quello di essere sempre strumentalizzato. La gente non si sveglia una mattina e decide di fare la rivoluzione, c’è sempre qualcuno che la sveglia ed è sempre stato così! Soltanto la fame può far muovere il popolo da solo, quando la fame è vera e non è strumentalizzata anch’essa.

D. – Ho letto un libro piuttosto interessante di un uomo d’affari americano, il quale è nella possibilità di sdoppiarsi molto facilmente (Ci si riferisce al volume di R. Monroe, “I miei viaggi fuori dal corpo”, MEB, Torino. – Nota senza riferimento.). ha scoperto una tecnica, l’ha migliorata e quindi ha cominciato anche a aumentare il raggio delle sue perlustrazioni e, con una certa terminologia aggiornata, ha descritto queste sue esperienze che per vari motivi ritengo autentiche come testimonianze; oltre tutto egli è stato anche sottoposto al controllo di parapsicologi e psichiatri.

Ci sono poi nel libro troppi riferimenti, da parte di un profano, a ciò che già sappiamo circa certi aspetti della vita spiritica a livello di “basso astrale”.

Infatti questa persona parla innanzitutto di un primo spostamento nell’ambito del nostro spazio-tempo che chiama “Localizzazione uno”, in cui ci sarebbe la possibilità per il “secondo corpo” – come egli lo chiama – di avere dei fenomeni di veggenza o addirittura degli “spostamenti” con degli effetti fisici su persone viventi, poi controllati. Quindi ci sarebbe quella che egli chiama “Localizzazione due”, in cui avrebbe avuto incontri, sempre con aspetti fisici, sensoriali, apparentemente riferiti a strutture sociali inesistenti sulla Terra, in un mondo molto strano. Il soggetto si è accorto che certe abitudini mentali gli creano delle difficoltà, degli inceppamenti in questi suoi “viaggi”, e si è anche accorto che bastava prendere conoscenza di queste abitudini per farle sparire, penso a livello di sovrastrutture minute, addirittura banali.

Il soggetto parla di un’infinità di condizionamenti che ha dovuto distruggere uno alla volta per essere più libero, più cosciente di questi suoi “viaggi”…

A. – Cioè i “macigni” di cui parlavo!

D. – Sì. Quella persona ha poi parlato di una “Localizzazione tre”, un mondo che lui vede assolutamente misterioso, ma di cui ancora riporta in modo efficace delle sensazioni fisiche.

A. – Perché si vede sempre attraverso la struttura animica, ed è chiaro che debba essere così.

D. – Ma la cosa caratteristica è questa immensità in cui c’è una molteplicità di vite, di accadimenti, veramente enorme, che fa sbalordire e che lascia una certa inquietudine, perché ci si rende conto che se non si domina il pensiero, se veramente non si raggiunge quella situazione interiore di cui parlavi, si è assolutamente senza guida in questi ambiti.

A. – Certo, in fondo è così. Pensate che ogni vostra anima è un mondo più o meno completo e che questa anima, in fondo, occupa uno spazio e che in questo spazio ha una certa risonanza che si estende al di là di sé stessa. Cioè essa ha una risonanza in questo ambiente e anche delle proiezioni, cioè dei risvolti di tipo strettamente umano. La sua attività finisce col non essere rivolta sempre e soltanto verso il corpo, ma ha anche delle risonanze diverse.

Diciamo che c’è un altro mondo accanto al mondo della materia, e un “doppio” che ha una sua labile attività.

D. – Ci può essere una proiezione illusoria.

A. – Sì, illusoria. Ora, è chiaro che chi riesce a sganciarsi dalla coscienza e comincia a incontrare questo secondo mondo, ne resta turbato, perché vede veramente una certa riproduzione della Terra, cioè un mondo di fantasmi, in qualche modo, che è attorno alla Terra, e poiché le diverse evoluzioni degli spiriti finiscono col conservare anche le strutture animiche, rispetto al corpo, esse possono portare a spostamenti, ad allungamenti nello spazio. Ecco che veramente lui, questo essere ipotetico che si distacca dalla Terra, incontra più piani e ne resta abbacinato.

D. – Lo sdoppiamento può essere percepito da terzi?

A. – Quando produce effetti fisici o effetti psicologici, certamente sì.

D. – E da terzi in uno stato psicologico particolare?

A. – Ma anche non particolare, cioè attraverso lo sdoppiamento si può avere un fenomeno di chiaroveggenza, di telepatia, di telecinesi, un’azione qualsiasi sulla materia che può essere percepita anche da chi non è in situazione particolare.

D. – Quindi non occorre una determinata sensibilità?

A. – No, perché i fenomeni sono obiettivi, cioè sono fenomeni visibili, controllabili in qualche modo. D’altra parte, proprio per evitare fenomeni di allucinazioni, è sempre necessario fare degli esperimenti concreti. I fenomeni devono essere obiettivi. Naturalmente c’è anche una parte di fenomeni che non è obiettivabile, è chiaro. Se durante uno stato di sdoppiamento o di estasi si va, così, in mondi diversi, tutto resta a livello soggettivo di chi vede, di chi osserva. Se invece si tentano degli esperimenti o delle prove più concrete, queste possono essere obiettivate. E io credo che chiunque inizi esperienze del genere deve tendere, anzitutto per se stesso, ad accertarsi che non si tratti di pura fantasia, perché è facile avere fantasie del genere.

A un certo momento si ha l’impressione di penetrare in un mondo qualsiasi, come può accadere sotto l’effetto di una droga e vi sembrerà di trovarvi in un altro mondo, ma in realtà non è vero, è solo un’allucinazione.

D. – Ci vorrebbe forse prima un’autoanalisi.

A. – Però con l’autoanalisi si corre ugualmente questo rischio. Può essere utile, ma naturalmente essa ha i suoi limiti. Voglio dire che anzitutto bisognerebbe saperla fare, ma noi non parlavamo di un’autoanalisi profonda però, perché per quella ci vuole l’aiuto di uno psicologo, di un esperto; parliamo di un’autoanalisi superficiale, sommaria, cioè di un autogiudizio, di un inventario della propria vita, del proprio comportamento e questo lo si può fare. Naturalmente sarebbe meglio farlo in compagnia, cioè con chi può guidare anche all’autoanalisi. Io mi riferivo a questo tipo di autoanalisi, perché sarebbe una cosa buona, tuttavia mi rendo conto che tutto quello che la maggior parte di voi può fare è l’inventario della propria vita, perché per fare la vera autoanalisi bisogna avere delle conoscenze di psicoanalisi che non tutti posseggono. D’altra parte, farla da soli potrebbe essere molto rischioso.

D. – Quindi l’autoanalisi va fatta assieme ad altri?

A. – Sì, perché in genere voi siete portati a non riconoscere i vostri errori, a ritenerli qualità e invece sono difetti. Ecco perché bisogna che ci sia qualcuno che guidi l’analisi, ma entriamo in un territorio diverso, certamente utile, ma adesso, perlomeno da integrare. Diciamo che io mi accontenterei almeno di un bilancio, di un inventario; già sarebbe qualcosa, sebbene per quello che io dicevo non sia sufficiente l’inventario.

Vedete, tale inventario si può fare in molti modi e anche qui potete commettere l’errore di fare un inventario a vostro uso e consumo, perché bisogna riconoscere gli errori e saper valutare il proprio comportamento nei confronti degli altri, analizzarsi veramente in maniera più completa di un semplice giudizio sommario. E questo voi talvolta riuscite a farlo, talvolta no. Io non posso naturalmente guidarvi in tutte queste cose, ma questo è uno dei problemi che si potrebbe affrontare; lo potreste affrontare voi, voglio dire, in maniera da costituire una sorta di programma, una sorta di studio, per coinvolgervi in una sorta di analisi, che poi non serve soltanto ai fini degli sdoppiamenti ma che finisce per diventare una cosa utile ai fini della vostra salute. In tutte le cose, quando sono coinvolti corpo e Spirito, il primo a beneficiarne è il corpo.

D. – In un certo senso noi troviamo qualcosa del genere nelle confessioni della religione cristiana.

A. – Ecco, dovrebbe essere così sennonché la confessione contiene un grave errore: quello di scaricare la responsabilità sull’altro, su chi ascolta, cioè il sacerdote, che si assume i “peccati”, perché agisce in nome di Cristo e li perdona.

Questo scarico di responsabilità, ai fini psicologici serve a ben poco, quasi a niente, anche perché è diventato, come dire, un fatto di routine, e non coinvolge veramente l’essere.

C’è un elenco di peccati; il peccatore risponde in base alle risposte, così viene assolto. Ciò non ha niente a che vedere con l’analisi.

D. – Dipende anche dal confessore e dagli individui. Se sono evoluti si può andare più in profondità.

A. – No, vedi, perché l’eliminazione di un sintomo, cioè di un impedimento, di uno di quei macigni di cui parlavo prima, avviene soltanto se esso viene confessato o ricordato in maniera emozionale, altrimenti non ha valore. Non basta riconoscere un errore, bisogna riconoscerlo coinvolgendosi emozionalmente in esso. È il principio della psicologia e della psicanalisi, giustissimo d’altra parte. Perché? Perché li si è formata come una ferita, come un blocco che si rimuove proprio agitandolo, cioè coinvolgendosi emozionalmente, e non basta recitare perché tutti sono capaci di recitare i propri guai, ma recitandoli non si guarisce affatto. A volte qualche guaio passa recitandolo, ed è quello che avviene quando andate dal medico, perché il ruolo del medico è un po’ il ruolo dello psicologo mitico, di questo uomo che può sanare. Quindi voi create un rapporto emozionale col medico e alcuni sintomi passano. Quante volte avete dei dolori, andate dal medico e non li avete più, oppure non li avete più appena finita la visita? Cosa è avvenuto? Niente, il dolore non c’era: era un fatto psicologico. Ma per quanto vi è di profondo, non basta recitare, quindi confessare, bisogna agire diversamente, ed ecco che allora la confessione di tipo cristiano a questo non serve assolutamente.

Potrebbe servire solo in un caso; che confessando le proprie colpe il paziente avvertisse un profondissimo dolore, in modo da essere coinvolto in maniera autentica, e neppure ciò basterebbe, perché poi ci sarebbe la questione delle colpe e delle pseudo colpe. Ci sono le colpe che sono tali e altre che non lo sono e vengono passate per tali, mentre sono gli errori dell’educazione che creano dei blocchi nell’individuo. I blocchi vi sono, effettivamente, ma sono pseudo blocchi, cioè sono sovrapposizioni delle sovrastrutture. E qui il discorso non è semplice, naturalmente; la psiche umana è una cosa complessa, però non tanto quanto può sembrare. Basta avere le idee chiare, allora tutto si riconnette a queste idee chiare ed è possibile risolvere una grande quantità di cose, ma bisogna avere le idee chiare su quello che dovrebbe essere il funzionamento della psiche, su ciò che dovrebbe essere la psiche senza le sovrastrutture.

D. – L’attività creativa può essere d’aiuto?

A. – Sì. L’attività artistica è di grandissimo aiuto. Oltretutto finisce con l’essere una delle realizzazioni delle pressioni interiori. Però essa non è tutto intendiamoci. In fondo, l’attività artistica può essere una sorta di sublimazione di quegli spostamenti, di quelle repressioni di cui abbiamo detto, ed ecco perché, in genere, la sensualità accompagna l’artisticità; sensualità che va intesa non

soltanto nel significato genitale, ma nel significato proprio di tensione complessiva dell’individuo, dell’essere umano (Come la libido in senso junghiano. – Nota GdS.).

D. – Come emotività di fondo?

A. – Non proprio emotività, ma diciamo come tendenza a vivere, come tendenza alla vita, come forza dell’organismo a vivere, a manifestare la sua presenza vitale. Tuttavia la manifestazione artistica rappresenta senz’altro una compensazione di sicurezza, talvolta, quando però vi è un sufficiente equilibrio. Se l’equilibrio si altera, cioè se gli istinti vengono completamente soggiogati dalla pulsione artistica, si va incontro invece alla follia. Il rischio è sempre questo. Il rischio della follia non sta tuttavia solo nell’artisticità, ma esiste sempre quando si crea uno schema mentale a senso unico, che diventa uno stereotipo, dal quale praticamente non si riesce a evadere, a uscire.

Immettendosi soltanto su quella linea si soffocano o si distruggono tutte le altre manifestazioni o pulsioni istintive. Ora, poiché in genere queste pulsioni istintive soffocate operano come una sorta di rivalsa, ecco che facilmente si hanno delle gravissime nevrosi e quindi si possono avere anche delle malattie mentali. Non per niente diciamo che lo stereotipo mentale, la fissazione mentale, camminano parallelamente alla paranoia. È per questa ragione che in genere quasi tutti gli artisti sono in qualche modo vicini, non alla paranoia in senso patologico, ma ad atteggiamenti fissativi, coattivi di tipo pseudo paranoico. È quello che accade solitamente quando un artista è capace di stare dieci, venti ore, due giorni a guardare semplicemente un punto sulla tela o un punto sulla pagina bianca; questa sorta di fissazione è di tipo paranoico.

Ora, naturalmente, s’intende paranoia pura quella dell’individuo che, chiuso nel suo mondo, non è capace di evaderne; l’artista, in genere, esce dal suo schema e dal suo mondo appena compiuta l’opera, e ritorna quindi alla sanità mentale. Ma quel periodo intervallare è certamente un periodo parapatologico, per usare questo termine “para” a voi tanto caro.

D. – Si può alterare questo mondo dell’artista, per riequilibrarlo del tutto?

A. – Non è che non sia possibile, forse non è consigliabile. non è mai consigliabile alterare troppo il mondo dell’artista. In fondo, diciamo, la tensione artistica proviene da una situazione appunto parapatologica che è bene non alterare perché, alterandola, può finire anche l’attività artistica, cioè può cessare una certa tensione. È meglio non toccarla troppo, voglio dire, perché la mente umana è molto delicata e bisogna stare attenti. Di fronte a individui normali, cioè che non presentano dei contrassegni particolari, così, di artisticità, allora si può fare qualunque cosa, ma dove invece vi è un’attività umana incanalata già verso una certa resa culturale ecc., bisogna perlomeno stare bene attenti, essere più prudenti, a meno che non ci siano proprio delle ragioni di salute.

D’altra parte, però, mi rendo conto che l’analisi individuale, cioè l’introspezione (in questo caso parlerei appunto d’introspezione) può essere utile anche all’artista, senza arrivare a queste proiezioni. Però a esse non ci arrivano nemmeno gli altri, tutto sommato. Non è, ripeto ancora una volta, una cosa facile come sembra.