LA SOLITUDINE DELL’UOMO

solitudineblog

(Nel testo non appare la data della comunicazione. – Nota del curatore.)

(Proseguiamo qui la pubblicazione di trascrizioni dalle registrazioni sperimentali delle “comunicazioni” da “trance a incorporazione” dovute all’intervento paranormale di quella che è stata definita “Entità Andrea.” – ndd.).

(Nota del curatore: In senso logico la nota “ndd” a questo punto finale del testo è chiaramente del tutto superflua, al limite essa avrebbe dovuto far parte dell’introduzione: la cosa è probabilmente dovuta alla mancanza di revisione e sistematizzazione generale delle trascrizioni originarie e poi dell’intero testo. Non si comprende inoltre a chi sia di fatto riferibile la nota “ndd”, la cui siglatura si presenta nel testo per la prima volta.)

D. – Dovremo affrontare oggi il grande, controverso tema della solitudine dell’uomo, e quello delle sue ragioni; come pure l’eventuale problema della solitudine dello Spirito… tutto ciò in confronto alla tendenza innata alla compagnia, all’unione come desiderio, come esigenza profonda.

A. – … Dunque, noi diciamo, anche dopo aver ascoltato tutte le cose che avete implicitamente o esplicitamente detto su questo tema, che l’uomo è in realtà un essere solo, che però tende alla compagnia.

L’uomo è costruito per vivere solo. L’essere, anche indipendentemente dal corpo, è costruito per stare da solo. Lo vediamo nella realtà dello Spirito. Lo Spirito è un’unità che rappresenta proprio un numero, ed esso è costruito per essere autosufficiente, autosussistente, quindi per poter stare da solo, cioè esso da solo può esistere; ma, contemporaneamente, lo Spirito è anche un essere che non può stare da solo, inquantoché in esso esiste proprio la tendenza, da voi già messa in luce, a raggrupparsi, almeno con quelle altre forme che intellettualmente e conoscitivamente rientrano nell’ambito dei suoi interessi.

È vero che per lo Spirito non è una questione di vita e di morte, cioè voglio dire che per periodi non precisati lo Spirito resta veramente solo, una solitudine che per lo Spirito è tuttavia ricca di fermenti, di meditazioni, di idee, di approfondimenti.

Per l’uomo le cose stanno solo apparentemente in modo un po’ diverso. L’uomo in realtà non può vivere da solo perché non è autosufficiente come lo Spirito. Anzitutto esiste un problema immediato di sopravvivenza.

È vero che vi sono esempi luminosi di esseri umani che sono vissuti o vivono in bellissima solitudine, riuscendo a farlo anche materialmente. Coltivando da solo la terra, l’uomo può in realtà vivere tutta la sua esistenza così, ma è un’esistenza un po’ randagia che talvolta viene inglobata in una tensione di tipo spirituale, per cui l’essere riesce addirittura a trovare la pace se esce dalla folla, ma sono casi piuttosto rari.

Però occorrerà fare una serie di meditazioni su alcuni punti. L’uomo in effetti, pur nella folla, nella vita associativa, a qualunque livello, continua a portarsi dietro la sua solitudine, perché per quanto possa avere scambi con esseri amati, o aventi interessi simili, tuttavia c’è una parte di lui che continuerà a restare solitaria: i propri pensieri, il proprio inconscio, ciò che l’uomo ha veramente dentro ed è incomunicabile. Questo è il nodo della sua solitudine e non c’è niente da fare. Certamente nell’uomo c’è un riflesso, sia pure indiretto, di questa unità di fondo, di questa vita solitaria di fondo propria dello Spirito. Questo potere, in qualunque momento, di ritrarsi in se stesso è anche dell’essere umano.

Mi si faceva osservare che tuttavia un uomo pieno d’idee e di fermenti non è mai solo.

Questo è anche vero; devo dire però che non sarebbe esatto trarne una conclusione; in realtà noi vediamo dall’esperienza che gli esseri che hanno molte idee concepiscono il dramma della solitudine, mentre gli uomini che hanno poche idee possono non riuscire neppure a configurarsi un situazione diciamo esistenziale di solitudine.

Cioè, voglio dire che anche per poter capire quella che potremmo definire “crisi della solitudine” occorre una certa interiore preparazione intuitiva, spirituale, culturale, intellettiva; cioè l’uomo banale non se lo pone neppure il problema. Voglio dire che egli potrà trovare motivi di distrazione continua nel corso della vita, anche in situazioni tiepide, leggere, fumose. Ma l’uomo di talento, in realtà, avverte tutta la sua crisi, nella pienezza del suo significato.

Questo perché le idee arricchiscono e, arricchendo, costringono a pensare.

È vero, costringono a pensare, ma l’uomo che pensa avverte anche la propria impotenza; mentre l’uomo che non pensa non è attanagliato da crisi.

In un certo senso dovremmo dire che l’uomo incolto, incivile (“incivile” anche nel senso un po’ nobile del significato) in ogni caso l’uomo povero interiormente, non ha molti drammi, non ha molti motivi per riflettere su una crisi che in lui si allontana di tanto quanto più distante è la cultura, la presenza viva delle idee. Quindi se è pur vero che l’uomo il quale si coltiva ed è arricchito da idee pensa di più, è anche vero che l’oggetto dei propri pensieri è anche quello della propria impotenza e quindi implicitamente della propria solitudine, perché tale uomo avverte tutti i suoi limiti nei confronti di un Universo grandioso che non sa né decifrare né osservare come la sua intuizione gli suggerirebbe di fare.

Naturalmente la solitudine in questo senso è ancora più drammatica, perché è una solitudine colta, direi, è una solitudine superiore, nella quale l’uomo si accorge veramente di non essere niente.

E questa sua maggiore disponibilità alla comprensione lo porta anche a rifiutare le più banali fruizioni della vita. Mentre l’uomo, diciamo più semplice, riesce a trovare motivi di divertimento, di avvicinamento a una certa ricchezza mondana e a trarne giovamento, l’uomo superiore non si giova neppure di questo, cioè non utilizza neppure le frange più banali della vita.

Vedete, la gente semplice si diverte con poco, la gente superiore non si diverte affatto, quasi mai, trova tutto superabile, meschino, tutto materiale, cioè non riesce più a trovare la chiave per poter avere una consolazione interiore.

Ciò vuol forse dire che la cultura, la civiltà, l’evoluzione dell’individuo portano dunque l’infelicità? No, diciamo semplicemente che il tipo di cultura, il tipo di problematiche e le loro impostazioni, così come avvengono da voi senza l’illuminazione spirituale, danno l’infelicità; e danno l’infelicità perché la cognizione del proprio limite non viene a essere ammorbidita dalla fede, dalla spiritualità che sta alle spalle, cioè dalla coscienza che il limite è appunto solo umano che lo Spirito che si riconosce può avere una diversa illuminazione, o dalla coscienza che la vita stessa continua dopo la morte e ne sarà illuminata in un’altra maniera.

Direi che è tipico del materialismo tutto questo, tipico di un’interpretazione materialistica della vita, per cui l’infelicità è data proprio da questa angolazione aliena dalla problematica spirituale e senza la quale l’uomo veramente si trova solo, con i suoi limiti, senza speranza.

Sulla Terra si sa, la solitudine nell’accezione più ampia viene di solito colmata con una serie di provvidenze di tipo umano, dalla creazione dei nuclei familiari, dagli affetti, dall’educazione dei figli, dal lavoro, dalla ricerca, dalla cultura: sono tutte attività che certamente lasciano poco tempo alla solitudine, almeno a quella formale, e anche quella interiore viene parzialmente elusa dall’impegno dell’uomo; l’uomo che indubbiamente è sempre in attività, per una serie di ragioni molteplici ha anche minore tempo per pensare, a meno che non sia un pensatore di professione.

E dunque l’attività continua porta a uccidere una parte di quella solitudine che troppo spesso decade nella noia. E la noia è certamente il dramma di molte epoche, il dramma di generazioni.

Io ho visto spesso che le maggiori incidenze della solitudine cosciente, della noia, coincidono con i mutamenti dei cicli dell’umanità.

Nei momenti in cui le civiltà trapassano, cioè nei momenti delle crisi non formali ma sostanziali, crisi ontologiche, nelle quali riconosciamo drammi di natura religiosa, sociale, economica, bene, in quei periodi l’uomo non ha più dei punti di riferimento esatti, tutto gli sfugge, per lui la realtà va avanti più velocemente del pensiero, egli non riesce a fermarla in formule, in definizioni. L’uomo è così preso da scoramento ed è in questo scoramento che emerge di più la solitudine, quindi la noia.

Che cos’è poi la noia. È l’impotenza alla comprensione, a capire, a fermare il tempo; in ogni caso a entrare nel ciclo di quella storia che velocemente si estingue, e questa impossibilità pone l’uomo ai margini del movimento, per cui il mondo scorre quasi senza la sua partecipazione.

E questo non partecipare è contrario al principio della vita. Perché? Perché la società con il suo ampio movimento è la conseguenza dell’uomo, e non questi la conseguenza della società. È la presenza dell’uomo che determina la società, non la società che determina l’esistenza dell’uomo. E allora, poiché la società è nata dall’uomo, egli, allorquando essa gli prende la mano e va da sola, finisce col trovarsi controcorrente. Egli si trova in un processo storico dal quale si sente sottratto; e può non avvertirlo consciamente, può cioè non precisare bene quello che gli sta avvenendo intorno, ma oscuramente lo sente, oscuramente egli sa di non muovere un dito, ma di essere trascinato da un’onda più grande di lui, che indubbiamente ha mosso, come generazione, o come umanità, ma della quale non si sente direttamente compartecipe e neppure responsabile. Tant’è vero che se noi volessimo rintracciare le responsabilità di grandi eventi storici ci accorgeremmo facilmente di non poterlo fare perché gli uomini individualmente non sono responsabili di ciò che avviene a livello della collettività, pur essendo certo – e noi lo sappiamo – che è la società che deriva dall’uomo, sebbene questa sia soltanto una formulazione teorica e che in realtà dobbiamo affermare che la società o la civiltà, è come un ingranaggio che una volta messo in moto va da solo e diventa autosussistente.

Ma questa autosussistenza è contraria al principio dell’autonomia dell’uomo che da lui fa discendere ogni cosa, ed ecco dunque la crisi che si stabilisce tra l’uomo e la società nella quale l’essere non vuole riconoscersi, ma della quale sa, oscuramente, di fare parte.

E allora, in questa situazione, diciamo così, drammatica se vogliamo, dal punto di vista umano, l’uomo ha soltanto una via di salvezza ed è quella di riprendere il dominio di se stesso, perché l’uomo che riprende il dominio di se stesso può continuare a essere solo, ma questa solitudine sarà addolcita dalla comprensione, dalla saggezza, cioè da quella superiore conoscenza che lo pone al riparo dalle offese della società e dall’ambiente in cui vive.

Allora, essere soli con le proprie idee può diventare una ricchezza, a condizione che l’essere si riconosca come una forza superiore, almeno della natura, riconoscendo il ruolo fondamentale dello Spirito che vive una sua esperienza anche nel dramma della materia. Allora la percepita presenza dello Spirito restituisce all’uomo la propria responsabilità e questa presa di coscienza elimina almeno la parte più drammatica della solitudine, perché l’uomo capisce di essere in una situazione del creato e non in una situazione della Terra, sposta cioè i termini oltre la Terra per riconoscersi nell’autonomia dello Spirito.

Vorrei comunque che foste ancora voi a parlare su questo argomento.

D. – A integrazione di quanto detto si potrebbe aggiungere qualcosa sul fatto che la solitudine può assumere molti aspetti…

A. – La solitudine assume sfumature e manifestazioni diverse. La solitudine non è soltanto quella di colui che sta meditabondo a pensare ai propri guai; sa che i guai sono i suoi e nessuno glieli può togliere.

La solitudine non sta soltanto nel pensarla, ma essa si manifesta in tante possibili vie. Diciamo che molte volte non appare in superficie e si manifesta soltanto con un senso profondo o leggero di apatia, oppure di difficoltà a penetrare il senso della società. L’uomo è fatto per stare con gli altri, lo ripeto, ma spesso voi vi accorgete di non riuscire a farlo, o perlomeno a starci come vorreste, e di non poter comunicare con gli altri. Intanto, per poter almeno eliminare una parte della solitudine, quella di tipo umano, occorrerebbe instaurare il sistema della chiarezza, della lealtà.

Gli uomini non sono sinceri con i propri simili. L’uomo conserva una sorta di riserva mentale. La sincerità è quasi inesistente sulla Terra e già la mancanza di sincerità prelude alla solitudine, perché un uomo che non comunica tutto se stesso, ha una parte di sé che resta in solitudine, cioè non comunicata, non esternata.

La mancanza di sincerità è a tutti i livelli, vedete; nessuno riesce a poter dire a un altro ciò che pensa. Intanto gli esseri umani non sono uguali. La verità, questa benedetta verità, viene tra l’altro interpretata in maniera diversa a seconda di colui che l’ascolta, sicché anche tra persone che si amano c’è sempre una mezza sincerità. Nessuno comunica all’altro ciò che desidera, ciò che vuole, ciò che pensa, perché suppone sempre che l’altro non possa capire, o possa offendersi, o possa reagire in maniera abnorme.

La ragione dell’infelicità umana è anche in questo. Gli uomini non si accoppiano per somiglianza di desideri ma per una serie di fattori emozionali che sono di natura ben diversa, per cui questi desideri comuni possono affiancarsi, talvolta, e allora nascono amicizie, nascono comunque connubi; anche in questi casi diciamo che i rapporti umani finiscono con l’essere sinceri soltanto in casi eccezionali.

Io dico che in realtà anche in questo sta l’esperienza dello Spirito. Una vita perfetta in Terra probabilmente non ci interesserebbe più. Apparentemente è un’utopia quella che esprimo, ma, vedete, il giorno in cui sulla Terra si starà veramente bene nessuno di noi ci verrà più, perché non ci sarà più interesse a vivere.

Allora voi Spiriti mi potreste dire: “Mio caro Andrea, dopo avere tentato

tanto per la Terra, dopo aver fatto venire sulla Terra profeti, maestri, filosofi, grandi uomini, i quali hanno tutti teso a dare ordine a questa Terra, dici che quest’ordine a cui si tende sarebbe un male per la Terra o almeno per lo Spirito”. Naturalmente è così, è così! Perché è chiaro, lo Spirito viene per svolgere un suo dramma esistenziale e attraverso questo trarre le sue esperienze.

Se la Terra non gli offre più questo, lo Spirito non ha nulla da fare qui. e allora questo bene che noi predichiamo, questa pace, questa tranquillità, non hanno da essere predicati? Sì, hanno da essere predicati, perché lo Spirito vedete, viene per vivere un suo dramma, viene per passare attraverso una trafila di guai, ma è anche vero che deve passare attraverso questa trafila di guai mirando all’ordine, cioè egli deve capire e scoprire l’ordine di se stesso e dell’Universo attraverso il disordine, cioè deve tendere a un bene in Assoluto. Dunque la predicazione del bene risponde ai principi di Dio, ma a questa predicazione si deve tendere come a un problema di conoscenza del bene.

Lo sappiamo tutti che sulla Terra non l’avrete mai questo bene: non è che il bene in sé sia un’utopia, diciamo che alla Terra non interessa, presa nella globalità; sicché il bene ciascuno lo raggiunge per conto suo, ma l’umanità nel suo complesso, quella pace a cui aspira non l’avrà; avrà un altro tipo di ordine, un altro tipo di spiritualità, ma a quel punto scatteranno altri congegni che complicheranno nuovamente l’esistenza. Ogni problema ne porta un altro, ne fa sorgere un altro. Quindi questa solitudine di cui dicevamo, nello Spirito che ha superato una certa fase evolutiva, è quasi sempre anche un ritrovarsi di se stesso, intendiamoci. Lo Spirito, l’essere umano, anzi, che in alcuni momenti dell’esistenza avverte di essere solo, si ritrova in fondo nella sua natura di Spirito. A un certo punto l’uomo deve anche capire che di fronte alle responsabilità, di fronte alla conoscenza, di fronte a Dio, egli è un essere solo. Non c’è dubbio! E infatti, quando voi morirete sarete soli davanti alla vostra coscienza, sarete soli davanti alle vostre colpe e ai vostri meriti, davanti al problema di Dio e dell’Universo, sarete soli; quando voi amate Dio, amate da soli; quando amate il prossimo, una persona, l’amate da soli.

Vi sono degli aspetti totalitari nell’essere umano che sono ineliminabili e che fanno proprio parte di quella struttura individuale e personale di cui siete in possesso. Però fino a quel livello la solitudine non provoca una crisi, non provoca un male, non provoca un dramma. Il dramma nasce soltanto quando voi vi riconoscete essere soli nei confronti della vostra ignoranza e della grande problematica dell’Universo; ma se a questo punto vi arricchite con l’esperienza e la saggezza interiore, anche questa solitudine finisce col passare o con l’essere capita, con l’essere compresa.

Dunque, riassumendo, noi possiamo dire che l’uomo ha una sua particolare struttura, tale che lo fa riconoscere come un essere solo e le cui manifestazioni sono solitarie quando esterna se stesso nei confronti del mondo e degli effetti. A questo punto egli è senz’altro solo, solo con le proprie decisioni, solo con le proprie responsabilità, con i propri amori, con i propri affetti, i propri rapporti con il mondo.

Fin qui niente di tragico, perché tutto ciò non lo tocca. Almenché alcuni di questi affetti non vengano meno, l’uomo regge benissimo. Se la solitudine diventa un fatto cosciente, può scattare un meccanismo di dolore, di fastidio, di noia, a seconda delle circostanze. Se tutto questo viene reinterpretato in chiave spirituale, tutto può essere enormemente mitigato. Resta il problema dello Spirito, ma lo Spirito, nonostante sia sempre un essere solo, non avverte il peso di questa individualità isolata. Anzi, essa diventa la sua forza…

D. – Anche perché è un mondo a sé!…

A. – Non posso dire che lo Spirito sia proprio solo; noi diciamo che è solo inquantoché è un essere individuato, ben distinto, ben preciso, che lavora da solo alla propria evoluzione, ma che lavora da solo “con gli altri”, e con la realtà comune di cui egli è attore principale.

D. – In altre parole è un vantaggio per lo Spirito dell’uomo trovare sulla Terra soltanto poche persone con le quali comunicare?…

A. – Vedi, ciò è dimostrato dal fatto stesso che sulla Terra vi sono innumerevoli gradazioni di evoluzione.

Se noi volessimo ripulire la Terra sarebbe semplicissimo; basterebbe per una generazione far venire un miliardo di Spiriti evoluti e sarebbe tutto risolto, cioè non esiste un problema da questo punto di vista, per noi; fare incarnare un miliardo di Spiriti evoluti è una cosa da niente è semplicissimo…

D. – Questo spiega perché, per esempio, con qualche persona…

A. – Per la vostra interiorità nessuno vi insegna niente, per cui voi crescete così, un po’ secondo le iniziative mentali individuali, è chiaro. Cioè, voi ricevete un’educazione formale che serve soltanto al vivere sociale. Ma un’educazione interiore che serva veramente alla vostra vita interiore nessuno ve la dà. Probabilmente sarebbero in pochi a potervela dare, d’altra parte ciascuno abbisognerebbe di un’educazione personale. Quello che vale per uno di voi non vale per un altro. Bisognerebbe partire dalle vostre strutture interiori per potervi dare qualcosa a livello individuale, e, questo, nessuno può essere in condizione di farlo.